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Chapter 4 - Le regole del talamo

La sera calò sul Lago di Como con la stessa implacabile eleganza del giorno. Il ricevimento si era concluso con i saluti formali e Mark, con la stessa efficienza con cui aveva gestito le sue telefonate, aveva liquidato gli ultimi ospiti e la servitù, lasciando Bea sola con lui nella loro nuova dimora.

La casa non era una casa; era una tenuta storica rimodernata, un monumento al gusto impeccabile e al denaro illimitato. Entrando, Bea fu colpita non dal lusso, ma dal silenzio. Era un silenzio così profondo e vasto da inghiottire ogni suono, ogni emozione. Le pareti erano rivestite in legno scuro, i lampadari in cristallo gettavano riflessi taglienti e freddi. Sembrava più un museo aziendale che un luogo dove due persone avrebbero dovuto condividere una vita.

Mark non la portò al piano di sopra con gesti romantici. La condusse in ascensore, parlando di sicurezza e domotica. «Questa è l'ala padronale. È completamente isolata acusticamente e protetta da telecamere esterne,» spiegò, con il tono di un tecnico che presenta un nuovo modello di auto.

Arrivarono in una suite matrimoniale che era grande quanto il vecchio appartamento di Paul. Il letto, enorme e drappeggiato in lino bianco, sembrava la vetrina di un negozio di lusso, non un invito all'intimità.

Bea si sentiva pietrificata. Per tutta la giornata aveva temuto questo momento. La sua giovinezza non le era stata solo rubata; stava per essere consumata. Si rifugiò nel bagno opulento, un rifugio momentaneo, e si sbarazzò da sola del pesante abito. Indossò una vestaglia di seta che le era stata fornita (rigorosamente bianca e immacolata) e si preparò mentalmente a resistere.

Quando uscì, Mark era seduto su una poltrona di velluto nero, i polsini della camicia sbottonati, l'espressione ferma. Non la guardò con desiderio, ma con l'aria di un uomo che inizia un altro punto all'ordine del giorno.

«Siediti, Beatrice. Abbiamo due minuti prima di passare al nostro prossimo dovere.»

Bea si sedette sul bordo del letto, tesa.

«Ascolta attentamente, perché non mi ripeterò,» iniziò Mark, la voce calma e controllata. «Il nostro è un accordo a lungo termine che deve apparire perfetto. In pubblico, sarai la Signora Markwell: impeccabile, silenziosa, elegante e totalmente devota. Farai la tua parte a tutti gli eventi. Non creerai chiacchiere o scandali. Se vuoi coltivare i tuoi hobby o frequentare le tue amiche, fallo pure nel tempo libero, ma con la discrezione che si addice al mio cognome.»

Bea serrò la mascella. «E se volessi studiare? O lavorare?»

«Potrai studiare. Lavorare no. Non ne hai bisogno. E non voglio una moglie che si distrae da compiti più urgenti.» Mark si alzò e si avvicinò, l'ombra che proiettava la fece tremare.

«Il primo, e più urgente, di questi compiti è l'erede,» continuò Mark, i suoi occhi grigi ora fissi su di lei. «Il matrimonio non è solo per la fusione patrimoniale; è per la continuità. Vogliamo un figlio, o due, quanto prima. Un erede solidifica il nostro accordo legalmente e socialmente in un modo che un semplice contratto non può fare.»

Bea sentì la sua voce bloccarsi in gola. «E se... se non volessi?»

Mark sollevò un sopracciglio, un gesto di sottile fastidio. «Non è contemplato, Beatrice. Il tuo dovere verso la famiglia Rossi, che ho salvato dalla bancarotta, supera i tuoi capricci giovanili. E te lo dico subito: il tradimento non è mai contemplato. Non accetto umiliazioni pubbliche o private. Finché sei la Signora Markwell, il tuo corpo e la tua fedeltà appartengono a questo accordo. Qualsiasi deviazione, qualsiasi tentativo di ricontattare la tua... conoscenza del liceo, avrà ripercussioni che faranno sembrare la rovina di tuo padre un picnic.»

La minaccia era sussurrata, ma aveva il peso di un blocco di cemento. Non era un mostro che gridava, ma un uomo d'affari che enunciava le clausole di un contratto vincolante.

«Quindi, Mark,» riuscì a dire Bea, la voce sorprendentemente ferma, «sei qui per consumare il tuo investimento.»

Per la prima volta, un'ombra di reazione attraversò il volto di Mark. Non si offese; le sorrise appena, un sorriso che non era né caldo né freddo, ma puramente analitico.

«Vedo che comprendi rapidamente la situazione. Sì, Beatrice. L'investimento deve fruttare. E in questo caso,» Mark fece un passo avanti, la sua presenza massiccia e l'odore pulito del suo dopobarba invasero il suo spazio, «il dovere non deve necessariamente escludere il piacere.»

La sollevò dal bordo del letto. I suoi occhi grigi, prima freddi come acciaio, si posarono su di lei con una valutazione che era quasi clinica, ma che nascondeva un innegabile barlume di anticipazione. «È un dovere, sì. Ma se sarà anche piacevole, sarà un bene per entrambi. Se il dovere non costa sacrificio, lo si adempie con più facilità.»

Non le concesse il tempo di respirare, né di formulare un diniego. Il bacio che la raggiunse non fu una supplica, ma una rivendicazione assoluta. Le sue labbra erano ferme, un sigillo di certezza, e fin dall'inizio dettero il tono, imponendosi con una prepotenza inattesa. Non c'era la dolce, quasi trepidante, incertezza che aveva conosciuto con Paul, ma la padronanza inequivocabile di un uomo conscio del proprio inestimabile valore e della propria intenzione.

La mente di Bea, in un angolo remoto, gridava ancora un disperato "No", ma il suo corpo, quell' abietto traditore, percepiva con acutezza la forza del suo abbraccio, il calore muscoloso che irradiava persino attraverso il filtro leggero della camicia di seta. Lui la guidava, la dirigeva, e in quella presa non c'era spazio per la resistenza. Le sue mani non si persero in timidezze; liberarono Bea dalla veste da camera di seta con gesti rapidi, privi di esitazione, esponendola all'improvvisa frescura della stanza e, ancor più intensamente, al suo sguardo.

Bea rimase nella sua sottile biancheria intima, oggetto dell'analisi attenta del marito. Gli occhi di Mark, di un grigio che pareva quasi metallico, rivelavano un mix affilato di apprezzamento misurato e innegabile, profonda cupidigia. Mentre lui la sollevava e la deponeva sulla superficie setosa del letto, Bea, con una fitta di orrore e un'ondata di inesplicabile eccitazione, si rese conto che la sua epidermide, le sue membra, la pensavano in modo diametralmente opposto alla sua ragione. In quell'istante, bramava il contatto che la sua mente desiderava respingere.

Mark non fu rude; fu meticoloso e implacabile.

Le sue labbra, prima così controllate e dominanti, si fecero più esigenti, esplorando la sua pelle con una lentezza quasi didattica, studiata. Partirono dal sigillo caldo delle sue labbra per scendere in una scia umida lungo il collo sinuoso, accarezzando le clavicole delicate e, infine, si posarono sul suo seno pieno. La sua lingua si attardò a lambire i capezzoli che si erano già eretti, mentre a Bea sfuggiva un ansimo che le bloccò il respiro in gola.

Vedendo la risposta incontrollata della moglie, Mark abbozzò un sorriso sottile, quasi trionfante, un'espressione che le fece fremere il corpo. Subito dopo, la sua mano si insinuò nelle mutandine di pizzo. Le dita, esperte e sicure, allargarono dolcemente le labbra già umide, trovando con disarmante precisione il centro palpitante del suo piacere. Bea inarcò la schiena in un gesto istintivo e ancestrale, cercando di rendere il contatto ancora più intimo. La mano di Mark stava disegnando un percorso di sensazioni che annullava ogni tentativo di resistenza emotiva. Erano mani competenti, capaci di trovare i punti di risposta del suo corpo giovane con un'abilità che la scioccò e la disarmò in egual misura.

Bea si ritrovò ad ansimare contro la sua bocca, sopraffatta e confusa dall'onda di sensazioni che travolgeva la repulsione interiore, lavandola via.

La bocca di Mark abbandonò le sue labbra per scendere e reclamare il suo seno: la sua lingua iniziò a disegnare anelli concentrici e pigri attorno ai capezzoli, che poi le labbra e i denti iniziarono a mordicchiare con una pressione dolce ma ferma. Bea abbandonò ogni riserva e ogni ritegno, affondando le dita tra i capelli di lui in un gesto che era inaspettatamente sensuale e intimo, una resa involontaria.

Mark percepì la sua capitolazione fisica e istintiva e si stupì dell'eccitazione quasi feroce che questo gli provocava. Bea, con la sua ingenua e acerba conoscenza dell'intimità, era stata travolta dall'esperienza di Mark che si muoveva con una chirurgica sicurezza nell'esplorazione del suo corpo.

Staccò il viso dal suo seno, pur continuando a muovere quasi pigramente la mano tra le sue cosce, una carezza potente e promettente. La guardò, e in quell'istante di pausa si rese conto forse per la prima volta della sua giovanissima età. Le chiese dolcemente, con un tono che non ammetteva menzogne: «È la tua prima volta?». Lei scosse la testa, senza schiudere gli occhi. La risposta suscitò in Mark un fugace moto di disappunto, subito cancellato dal pensiero travolgente di farla sua, completamente.

«Vuoi che mi fermi?» chiese, quasi con una nota di gentilezza inattesa. Non voleva abusare, ma desiderava che l'atto che stava per compiersi fosse, almeno fisicamente, voluto da entrambi.

Inaspettatamente, Bea scosse di nuovo la testa, e con una voce roca, irriconoscibile, che tradiva un bisogno che non poteva più negare, implorò: «Continua, ti prego.»

Lui non se lo fece ripetere.

Si mosse con la sicurezza di chi sa esattamente cosa vuole e come ottenerlo. Tolse lentamente la mano dal suo piacere pulsante, si sistemò tra le sue gambe prima di penetrarla. Lo fece con lentezza, un'invasione misurata che le diede il tempo di abituarsi. Bea si ritrovò ad aggrapparsi alle sue spalle larghe, il punto d'ancoraggio in quella tempesta, mentre lui si muoveva lentamente, entrando e uscendo da lei.

Bea continuava a ripetersi, in un mantra disperato, che non era amore. Era pura, inebriante, e spaventosa attrazione fisica, un'esplosione di un bisogno primordiale. Mark era un uomo con un bagaglio di esperienza che la stava travolgendo, e quello che le stava facendo provare era intenso e totalizzante.

Anche se la loro unione era intrisa di un atto di potere e possesso, fu anche il momento in cui Bea, superata la paura e ogni reticenza, si abbandonò completamente alla tempesta di sensazioni evocata dall'abilità del marito. I gemiti che le sfuggirono non erano di gioia emotiva, ma di resa fisica alla maestria del suo nuovo signore.

I movimenti di Mark si fecero via via più veloci, più urgenti, mentre si chinava per poggiare le labbra su quelle di lei in un bacio, questa volta, intimo e quasi più dolce, una concessione. Il corpo della giovane fu scosso da violenti sussulti, segno inequivocabile che aveva raggiunto il culmine del piacere. Mark lo raggiunse con qualche altra spinta possente, esplodendo caldo dentro di lei, prima di accasciarsi al suo fianco, esausto.

Quando tutto fu compiuto, Mark non la strinse in un abbraccio romantico o consolatorio. Lasciò semplicemente la sua mano adagiata sul suo ventre, in un gesto che non lasciava dubbi sul possesso acquisito. 

La guardò. I suoi occhi grigi, tornati rapidamente freddi e analitici, sembravano studiare e valutare meticolosamente ogni singola sfumatura della sua reazione. Non c'era tenerezza, solo un'attesa calcolata di verifica.

Bea non riusciva a distogliere lo sguardo dal soffitto, dove i riflessi del lampadario di cristallo giocavano con le ombre. Il suo corpo era stanco, ma stranamente vivo, percorso ancora da tremori residui. Il cuore, tuttavia, era un blocco di ghiaccio nel petto, la repulsione interiore e la sbalorditiva risposta fisica in un conflitto assordante. Il suo corpo era stato uno strumento sintonizzato nelle mani di Mark, una macchina sensoriale che aveva risposto alla maestria con una prontezza che la umiliava e la terrorizzava.

Il silenzio della suite, prima così vasto e freddo, ora sembrava gravare su di lei come un sudario. Si era sposata con un uomo d'affari, e la prima notte di nozze era stata, come previsto, una transazione. Un atto di potere che si era rivelato anche un'irresistibile, spaventosa, e totale esplosione dei sensi.

Mark ruppe il silenzio, la sua voce bassa e misurata, priva di emozione. «Bene,» disse, come se avesse appena chiuso un affare. Si sollevò e si diresse con calma verso il bagno, la sua figura muscolosa e imponente.

Bea rimase immobile, sola nell'enorme letto di lino bianco, l'aria fresca che le mordeva la pelle. Non era più solo la Signora Markwell, il trofeo da esibire. Era ora la terra su cui Mark aveva piantato la sua bandiera, la prova tangibile del suo potere.

La porta del bagno si chiuse con un click sommesso ma definitivo. E in quel momento, avvolta nella freddezza del lusso e nel calore indesiderato lasciato su di lei, Bea si rese conto che la sua vita non era finita: era appena cominciata, e la guerra interiore tra la sua mente e il suo corpo sarebbe stata la sua prima, e forse più difficile, battaglia.

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