"How many heads must I wear before I feel like myself?"
——•✧✦ Disgust I ✧✦•——
Knock, knock.
Le due guardie spalancarono la porta senza chiedere permesso. Non serviva.
Sua Maestà entrò.
Nessun annuncio. Nessun inchino.
Solo passi lenti, pesanti, che battevano come tamburi sul pavimento.
Mitchell alzò il gesso di scatto, urlando forte, e lasciando un tratto bianco spezzato sulla lavagna.
Si voltò troppo in fretta: urtò il tavolo accanto, causando un'esplosione di carta, pennini e barattoli d'inchiostro che si rovesciò sul pavimento.
Tentò di fermarsi, e salvare il salvabile, ma mise il piede su una pozza nera ormai creata e scivolò rovinosamente a terra.
Un tonfo sordo, uno sbuffo di polvere.
"Noo!
Questi.. erano gli progetti per questo mese.."
Dal pavimento, vide le sagome scure delle guardie, dell'Imperatore... e del Consigliere personale.
Mitchell si rialzò in fretta, con movimenti goffi e inprovisi, lanciando involotariamente coccioline di inchiostro ovunque.
Finendo persino sul viso dell imperatore, non notandolo mentre si spolverava i pantaloni e macchiandosi ulteriormente, come se la vergonia si potesse strofinare via a mano.
"C'è sempre qualcosa di pittoresco nelle tue reazioni Terapeuta.." commentò il Consigliere, il sorriso sottile di chi crede di essere spiritoso.
Mitchell si scostò una ciocca di capelli dalla fronte impiastricciata d'inchiostro e si voltò lentamente.
"Non tutti possono permettersi la freddezza di chi passa la vita a lucidare le scarpe degli altri," ribatté, senza troppa enfasi.
Si chinò a raccogliere alcuni fogli sparsi.
Erano pieni di schizzi grossolani — case, torri, persino quello che sembrava un drago abbozzato con pochi tratti di pastello blu.
"No questo no dai.. era un ricordo prezioso."
Alle pareti, altre lavagne e tavole di legno erano coperte da disegni simili.
Macchie di colore e scarabocchi impazienti erano ovunque, come se la stanza intera fosse un campo di battaglia tra idee ancora incompiute.
Tra un movimento e l'altro, Mitch urtò uno scaffale pieno di tazze da tè spaiate.
Una oscillò precariamente prima di ritrovare l'equilibrio.
"Non ti vergogni, Terapeuta, di vivere in un simile disordine? E quei rozzi troferi che hai sulle mensole.." sogghignò il Consigliere, camminando lentamente guardandosi introrno.
Mitchell non rispose subito.
Passò accanto a una delle poltrone vicino al camino, dove una teiera d'argento fumava ancora su un vassoio, tra due tazze pronte per una discussione.
Il fuoco nel camino era basso, ma bastava a proiettare ombre tremolanti sui occhiali sottili sul tavolo, attraversandoli e illuminando anche alcuni modellini accatastati sui ripiani: ponti, torri, strane macchine a molla e libri.
"Alcuni di noi producono idee, non lusinghe," disse infine Mitchell,prendendo e indossando gli occhiali, per poi sollevare una tazza, osservandone il bordo scheggiato.
Infuriandosi, guardo il capo indicando ancora la mensola "Insomma maesta, capisco il suo grande contributo, ma e troppo tenere qui nel palazzo, come decorazione quelle tes.."
L'Imperatore, silenzioso fino a quel momento, mosse appena una mano.
Il Consigliere si irrigidì.
Fece un passo indietro, poi un altro, fino a sparire oltre la soglia senza fiatare.
Quando la porta si richiuse dietro di lui, l imbranato si lasciò cadere su una poltrona, facendo scricchiolare la stoffa logora.
Prese la tazza col the, soffiò via un po' di vapore e guardò l'Imperatore senza alcuna riverenza.
"Sei in ritardo," disse.
˜"°•. ♪ .•°"˜
Le porte si richiusero alle spalle dell'Imperatore con un tonfo sordo, seguito dal clic metallico dei chiavistelli.
Il suono si diffuse nello studio come un'onda secca, e poi—silenzio.
Mitchell soffiò una seconda volta sul bordo della tazza nella mano sinistra.
Il vapore gli offuscò per un attimo gli occhiali.
"Quindi... come mai questo ritardo?"
Sua Maestà non rispose.
Si tolse la cornona, lasciandola su una scrivania.
Poi, con un gesto secco, infilò le dita sotto il colletto.
Là dove la pelle si univa in una cucitura storta e maldestra, con un colorito marcio.
Sotto la pressione, la carne si afflosciò un poco, molle, rivelando i piccoli fori: buchi allineati, scavati nella pelle viva, attraversati da fili neri e lucidi, tesi fino a vibrare.
L'uomo strinse la mascella, affondò le unghie e tirò.
"Aspetta…" mormorò Mitchell, quasi senza accorgersene.
Il primo filo si spezzò con uno stridio secco, come un tendine reciso.
La carne intorno al foro si stirò fino a lacerarsi, sbavando un liquido denso, nerastro, che subito prese a colargli sulle punte delle dita.
Altri fili, più resistenti, non si ruppero subito: scivolarono fuori lentamente, sfregando attraverso i fori slabbrati.
"No… dai—" sibilò mettendosi le dita della mano destra davanti ai occhi.
Mentre scorrevano, portavano con sé brandelli di tessuto interno, strisciando contro la carne viva con un suono molle, umido, simile al risucchio di un panno zuppo trascinato sul vetro.
Alcuni fili si spezzarono di colpo, schizzando minuscoli spruzzi scuri; altri rimasero incastrati a metà, incisi nella carne come uncini arrugginiti, e per strapparli fu necessario torcere, scuotere.
"Stai esagerando..." sussurrò Mitchell, più per se stesso che per lui, mentre si irrigidiva nella poltrona.
La testa si staccò a scatti, trattenuta ancora da pochi fili tesi come nervi scoperti.
Con un ultimo strappo violento, l'uomo la sollevò via, mentre dal moncone aperto sgorgava un fiotto denso, nero, dall'odore acre di metallo bruciato e carne putrida.
"Ah—Fanculo!"
Con calma sinistra, il corpo sollevò la testa per le tempie.
Le dita stringevano forte, quasi con rancore.
Avanzò verso il tavolo e lasciò cadere il capo con un colpo secco.
TUNK.
La testa rimbalzò, colpì la teiera e la singola tazza.
Il liquido bollente schizzò ovunque—una grande quantita che colpì la guancia della testa, facendole bruciare la pelle e annerire ciocche intere di capelli.
"STRONZO!"
Sbottò il volto, deformato dal dolore e furia.
"Hai idea di quanto cazzo brucia il tè bollente sull'occhio?! Idiota senza cervello!"
Il corpo non reagì.
Semplicemente spostò la tazza col piede per terra, con un gesto calmo, evitando di incrociare lo sguardo bruciante della sua stessa testa.
Poi si sedette con un lungo respiro, calpestando l umido tappeto sotto.
"Alex, Smettila di lamentarti..
Mica provi dolore."
Mitchell sorseggiò il tè rimanente, scrollando le spalle con l'aria stanca di chi ha già visto fin troppe cose assurde.
"Un progresso.. Direi.."
Il corpo annuì.
Poi prese la testa fra le mani. Alex provò subito a mordergli le dita, ringhiando come un cane in trappola.
"A-ah! Ultimo Bastardo! Lasciami! O giuro che—"
L'altro lo ignorò.Con una delicatezza, cominciò a sistemargli i capelli dietro le orecchie, con gesti quasi fraterni.
I denti di Alex scattarono ancora, a vuoto.
Poi le sue pupille cominciarono a ruotare—sconnesse, come occhi di bambola mal montata.
Lui gli aggiustò gli occhi con i pollici, premendo finché non si allinearono.
Alex sbuffò. Ma smise di mordere.
"...Dai," sibilò il corpo, avvicinando la manica per ripulirgli il labbro macchiato.
"Sputa."
Il sangue secco si staccò in croste scure. L'altro lo puliva con la pazienza stanca di chi l'ha già fatto troppe volte.
"Elegante come sempre," commentò Mitchell, senza sarcasmo. Ma nemmeno senza ironia.
Il corpo si appoggiò allo schienale.
Le mani tremavano appena, tenendo la testa sulle caviglie, ancora strette attorno al volto decapitato.
Poi parlò.
La voce era roca.
Umana.
"...Mi dispiace. Per il ritardo."
Mitchell appoggiò la tazza, ora vuota, sul tavolino ancora macchiato.
E osservò il corpo decapitato che si accomodava, poi gettò un'occhiata alla corona abbandonata sul tavolo lontano.
"Non la vuoi proprio indossare eh.."
Ultimo scrollò le spalle.
"Non serve qui dentro.
Qui non devo fingere di sapere cosa sto facendo."
Alex ghignò.
"E poi pesa.
Pesa tanto quella dannata corona..
Quanto tutte le bugie che devi raccontare a te stesso per tenerla in testa."
"Capisco.." Sospirando il terapeuta continuo. "Quindi?
Perché sei in ritardo?"
Il corpo non alzò subito lo sguardo.
Continuava a sistemare un ricciolo di capelli umido e profumati sulla fronte della testa.
"C'era una riunione.." rispose infine.
Mitchell sollevò un sopracciglio.
"Una riunione. Interessante.
E… cosa, di grazia, può mai essere più importante della tua terapia?"
Ultimo sospirò.
La testa tra le mani ruotò gli occhi con un'espressione che diceva tutto prima ancora che parlasse.
"Vuoi raccontarglielo tu, Alex?" chiese il corpo, con un filo di sarcasmo.
"No no, prego… fai pure. Sei tu meta Imperatore, dopotutto," rispose la testa, con un sorriso storto e velenoso.
"Io sono solo la parte che prova imbarazzo.."
Ultimo sospiro, abbassando le spalle, poi si voltò verso Mitchell.
"Una ribellione," disse.
"Non una di quelle rivolte da quattro contadini.
Niente forconi, né slogan sulla libertà...
Questa è silenziosa, elegante… e ben finanziata."
Mitchell si rilassò leggermente sulla poltrona.
"Vai avanti.."
Ultimo stette in silenzio per un attimo, poi si voltò verso una mensola.
"Aspetta. Ho un'idea migliore."
Fece un cenno a Mitchell. "Hai… una mappa dell'Impero? E della cenere?"
Mitchell sollevò un sopracciglio, ma poi capi.
Si alzò senza fretta, aprì un cassetto basso e ne trasse una pergamena pesante, dai bordi consumati, che portava incisi vecchi sigilli imperiali.
Poi, da una scatola di legno nera, tolse un piccolo sacchetto di pelle.
"Polvere di radice. Va bene come cenere?"
"Perfetta."
Ultimo srotolò lentamente la mappa sul tavolo basso tra loro.
La superficie divenne subito umida, ma odorava di fumo spento e tessuto vecchio.
Per un momento rimase immobile, osservando la pergamena.
Poi, con calma, sollevò la mano destra.
Si vide solo allora che anche le sue dita erano cucite, come burattini malconci: piccoli punti neri serravano pelle su pelle, seguendo i tendini come vie spezzate.
Afferrò l'anulare della mano sinistra.
Mitchell socchiuse gli occhi, fiutando il pericolo un attimo prima che accadesse.
"E davvero necessario?" iniziò, alzando una mano a metà.
Troppo tardi.
Ultimo torse il dito con un rapido strappo.
Un suono umido e secco riempì l'aria, come il rumore di stoffa squarciata.
Il dito si spaccò in due a metà, lasciando intravedere ossa insieme ad un impasto scuro, elastico e cavo.
Nessun sangue vero uscì.
Solo una poltiglia densa, come inchiostro rappreso.
Ultimo serrò il pugno attorno al anulare staccato.
Stringendo forte, fece stillare alcune gocce dense di rosso e nero sul centro della pergamena.
Mitchell osservava da sopra gli occhiali, il sopracciglio destro che tremava in un misto di orrore educato e rassegnazione.
"Ti prego, dimmi che almeno lo ricucirai decentemente dopo..."
Ultimo, senza rispondere, infilò il dito spezzato nella tasca interna dei pantaloni.
"Lo faccio dopo," disse semplicemente, come se stesse parlando di rammendare una camicia.
Poi aprì il sacchetto di pelle nera e versò la polvere di radice.
Con un gesto rapido e preciso, distribuì la cenere lungo le vene della mappa, intrecciandola al sangue rappreso come fili in un telaio oscuro.
Alex, adagiato sul bordo del tavolo come una decorazione macabra, sorrise a metà.
"Tempo di magia da due soldi," commentò con sarcasmo.
Sporgendosi un poco — un gesto che fece oscillare la testa come una pera troppo matura — soffiò debolmente sulla pergamena, spruzzando anche un po' di saliva insieme al fiato.
Mitchell strinse i denti.
"Ecco. Adesso, non potrò più mangiare in questo studio per almeno 2 mesi.."
Alex ridacchiò, schioccando la lingua.
"Sei sempre stato un po' schizzinoso, Mitch."
Poi, come svegliata da un fremito invisibile, la cenere prese vita.
Le particelle si sollevarono, danzando lentamente nell'aria stantia dello studio.
Disegnavano colline e valli, fiumi tortuosi e città pulsanti di luce dorata.
Nel centro, il cuore dell'Impero batteva piano.
La cenere, mischiata al sangue, sembrava vivere, come se respirasse piano, in sincronia col battito stanco dell'imperatore stesso.
Mitchell, intanto, si piegò sulla poltrona, massaggiandosi le tempie.
"Un dito, saliva, cenere stantia e trauma latente...Tipica seduta di martedì, insomma," borbottò.
Alex rise piano, un suono secco e spezzato, come legno che si spezza al gelo.
"Bentornato a corte, terapeuta."
Ultimo indicò un punto, a nord-est, confinante con un altro regnio.
Lì, la cenere si gonfiava da sola.
"Parlo di Darveth," disse, con la voce bassa.
"Il duca locale, Rahlen, ha iniziato a bloccare le carovane di commercianti, mercenari o anche semplici cittadini."
La zona indicata divenne scura.
"Dopo, a sua detta, una serie di assalti a queste persone—anche a servizio dell'Impero—ha iniziato a fermare i convogli in ingresso."
Piccole scintille rosse si accesero lungo le strade della zona, come segni di focolai o saccheggi. Una carovana fatta di cenere si dissolse in mezzo al tragitto, con una minuscola esplosione silenziosa.
"La sua zona è la più veloce e diretta verso la capitale.
Le altre sono piene di montagnie e fiumi, ma questa e un collo imperiale, potremmo dire."
Mitchell inclinò la testa.
"Un punto strategico, quindi. Una vena che, se stretta, fa sanguinare l'Impero?"
Ultimo annuì lentamente, mentre una linea sottile di cenere rossa cominciava a serpeggiare tra Darveth e il cuore della capitale, pulsando con interruzioni irregolari.
"Dice che è per sicurezza, dei nostri cittadini, e di altri paesi, e che le sue strade non sono più sicure per i viaggiatori.
Che ogni sosta prolungata è nell'interesse dell'Imperatore.
Ma non ha mai chiesto permesso..."
Mitchell sollevò un sopracciglio.
"Naturalmente.
I migliori tradimenti si fanno con la bocca piena di fedeltà."
"Alcuni di questi commercianti hanno dei mercenari.
Non sono soldati dell'Impero, ma compagnie private ingaggiate per scortare le spedizioni verso le province interne.
I loro datori sono nobili, commercianti protetti dal sigillo imperiale.
Per non parlare dei abitanti di altri regni
E tutti queste persone, ora si trovano bloccati a Darveth."
Sulla mappa, alcune figure stilizzate in cenere venivano accerchiate, circondate da muri invisibili.
Ogni tentativo di muoverle risultava vano: la cenere collassava in silenzio.
Mitchell tamburellava con due dita sul bracciolo, in un ritmo lento.
"Nessuna dichiarazione pubblica, immagino. Nessuno che osi alzare la voce?"
Ultimo scosse il capo.
"Un consigliere ha detto che Rahlen agisce per dovere. Che i fondi vengono reinvestiti.
Che non ha mai negato la lealtà all'Imperatore.
Ma sa come parlare, quel bastardo.
Le carovane vengono alloggiate, le merci 'messe in sicurezza', e i viaggiatori trattati come ospiti ricchi… ma sottoposti a tasse improvvisate.
Alloggi, viveri, stoccaggio, persino il diritto di muoversi tra i villaggi: ogni cosa ha un costo, deciso dai funzionari di Rahlen."
Alex sbuffò.
"E li popolo li chiamano nobili.. quei vermi. Parassiti in velluto."
Ultimo fece finta di non sentire.
"I fondi raccolti da queste 'tasse temporanee' non finiscono in opere pubbliche.
Vanno a comprare appoggi.
A finanziare banchetti, matrimoni politici, e piccoli eserciti privati.
Rahlen non si prepara alla guerra… si prepara al futuro.
Sta parlando con chi detesta l'Imperatore.
Sono sicuro, che sostiene un altro pretendente.
E se io dovessi cadere, questo duca sarebbe pronto a voltare pagina con un inchino perfetto."
Mitchell si fermò. Il tamburellare cessò.
Poi parlò, quasi con un sussurro.
"E tu? Saresti pronto a impedirglielo… o ti stai solo preparando a cadere con stile?"
Il corpo sospirando. "Gli ho scritto. Tre lettere.
Tutte senza risposta.
Ma i miei messaggeri sono tornati... con doni.
Vino, seta, e una poesia."
Allungando le braccia.
"Una poesia, Mitchell.."
Divertito il terapeuta inizio a ridere.
"Beh, puoi ben immaginare che quei nobili, si aspettano che io li liberi..
Non solo per il loro interessa, ma perche il denaro deve girare, altrimenti avro tutti contro."
Il curioso chiese. "E quindi cosa stai facendo?"
"La riunione era con il Consiglio Interno. Sei ministri e tre generali. E nessuno—nessuno—vuole agire apertamente."
"Perché no?" domandò Mitchell, ormai curioso.
"Perché Rahlen è popolare.
Pur essendo un duca, fa il caritatevole, paga il cibo agli orfanotrofi, offre 'protezione' alle famiglie dei soldati caduti.
È un serpente che indossa il volto di un santo.
Se lo attacco senza prove concrete, mezza corte griderà: al tiranno.
Se non faccio niente, la sua influenza cresce."
Mitchell annuì lentamente, mentre con un dito tracciava un cerchio invisibile sul bracciolo della sua poltrona.
"Quindi sei venuto da me… per decidere se sei ancora capace di regnare?"
Ultimo lo guardò per la prima volta negli occhi.
"Sono venuto per sentire se lui…" indicò la testa,
"…ha qualcosa da dire che non riesco a formulare da solo."
Alex, adagiato sul tavolo tra le macchie di tè, la cenere e e le ombre lunghe del pomeriggio, sorrise con lentezza.
"Oh, ne ho parecchie..
Maestà.
Ma la domanda è: vuoi davvero sentirle?"
Alex emise un suono simile a un colpo di tosse, ma era solo sarcasmo purificato.
"La vuoi cruda o con zucchero, Imperatore?"
Ultimo lo fissò per un attimo. Poi annuì, stancamente.
"Cruda."
Alex roteò le pupille come se stesse scrollandosi il dolore del successo.
Poi parlò, con una voce più affilata del solito, come se si stesse divertendo e soffrendo allo stesso tempo.
"Il problema non è Rahlen."
Mitchell si irrigidì appena.
"Ah no?"
"No. Il problema e chi sta usando Rahlen."
Alex girò lentamente lo sguardo verso Ultimo.
"Pensi davvero che un piccolo duca ok..
Si sia svegliato un giorno,
col cazzo duro e le palle cosi grandi da sfidare da solo l'impero dove è cresciuto?"
Ultimo non reagì.
Solo una vena cominciò a pulsare sul collo, appena sotto il punto dove la testa era stata staccata.
Alex continuò.
"Quello dietro tutto..
Ti conosce meglio di quanto ti conosci tu.
Sa che esiti, che aspetti, che vuoi essere 'giusto'…
E intanto lui costruisce un regno dentro al nostro.
Fa quello che tu non hai il coraggio di fare: decide."
Mitchell intrecciò le dita, appoggiandole sotto il mento.
Il corpo innervosito. "Quindi il tuo consiglio, Alex?"
La testa si voltò di scatto verso di lui, occhi fissi.
"Taglialo."
Sorpreso dalla rispsota. "Scusa?"
"Taglia il serpente. Ora.
Non servono prove. Non servono giustificazioni. Servono paura e decisione.
Vuoi governare? Governa.
Ma se vuoi dormire la notte..
Allora continua a parlare con me mentre perdi tutto."
Ultimo chiuse le mani a pugno.
"Non è così semplice..
E se compare una seconda testa?
Che senso ha colpire un burattino, che mi causerebbe solo guai?
Se attacassi il maestro, egli dovrebbe semttere per pura paura no?"
"Invece è esattamente così semplice," ribatté Alex, quasi urlando.
"Ragazzino, che ci piaccia o meno, ora siamo entrambi a governare.
Vuoi piacere. Vuoi applausi.
Allora dovrai sporcarti le mani..
Non esiste un manuale segreto con tutte le scelte giuste.
Queso lo crei te col tempo e coi sbagli che coltivi.
E questo e uno sbaglio necessario!"
Silenzio.
Il terapeuta, domandò:
"E tu, Alex. Tu vuoi solo potere?"
"Io voglio sopravvivere.
E chi non comanda, muore."
Silenzio.
Senza cambiare tono, domandò:
"E tu, Ultimo. Tu cosa vuoi?"
"Anch'io. Voglio sopravvivere."
Si chinò.
"E chi non comanda......muore.."
Il corpo decapitato si alza.
Raccolse la testa, per rimetterla al suo posto, questa volta senza cucirla.
Dopo essersi rimesso la corona, si volta verso Mitchell.
"Ho deciso.
Andro di persona a incontrare Rahlen!"
Mitchell anche si alza.
"Allora è deciso.
Ma sappi che una testa sola non basta."
Dietro di lui, su una mensola, nel buio, altre teste appaiono sui ripiani.
Occhi che si aprono. Sorrisi che si accendono.
Alex ride piano.
"Benvenuti nel club."